Un tempo bastava un terzo turno per far sognare. Oggi, l’Italia del tennis gioca per vincere, e lo fa con naturalezza

Da un po’ di tempo, nel tennis italiano, non serve più aggrapparsi all’impresa. L’italiano che vince, che lotta nei tornei importanti, che entra in campo da favorito, non è più una sorpresa. È una costante.
E, se proprio vogliamo dirla tutta, ormai è anche una responsabilità. Perché l’Italia non solo c’è: è una delle superpotenze del circuito maschile. E chiunque guardi la classifica, se ne accorge.
Non serve nemmeno più raccontare di “una generazione d’oro” come se fosse una previsione da oracolo. È già realtà. La certezza sta nel vedere un italiano in finale al Roland Garros e non stupirsi. Sta nel leggere che un altro italiano oltre Jannik Sinner è arrivato in semifinale e pensare: “peccato per l’infortunio”. Non per la prestazione. Perché la prestazione, ormai, è scontata. O quasi.
C’è un dettaglio, però, che rende tutto ancora più concreto. Ed è il momento. Perché mentre il numero uno del mondo – saldamente italiano da oltre un anno – si prepara alla finale del secondo Slam stagionale, l’Italia può consolarsi anche con il cammino di chi, come Musetti, si è fermato un passo prima. Non per demeriti, ma per sfortuna.
E allora ecco che questo Roland Garros diventa qualcosa in più di un torneo. Diventa uno specchio. Uno specchio di dove siamo e di quanto è cambiata la prospettiva. Fino a pochi anni fa si festeggiava un italiano al terzo turno. Oggi, si discute se una semifinale basti. È cambiato il metro, è cambiata l’ambizione. E con essa, è cambiato tutto il movimento.
Da Cobolli a Cinà: quanto cresce il tennis italiano
La classifica ATP parla chiaro: l’Italia ha ben sette giocatori nei primi 50, un dato che racconta meglio di mille parole quanto il movimento sia diventato profondo.

Dopo Sinner e Musetti, il terzo azzurro è un nome che, solo fino a poco tempo fa, pochi avrebbero scommesso così in alto: Flavio Cobolli, classe 2002, ora stabile nella top 30. Un’ascesa silenziosa, senza proclami, ma fatta di vittorie concrete.
Appena dietro c’è ancora Matteo Berrettini, più volte fermato dagli infortuni, ma mai davvero fuori dal giro. È ancora numero 28 del mondo, un risultato notevole se si pensa alle tante tappe saltate. Il suo percorso ora somiglia più a una parabola di resistenza che a una rincorsa: quando gioca, è ancora capace di battere chiunque. E poi Arnaldi, Sonego, Darderi. Ma non solo.
Il bello è che non finisce qui. Appena fuori dalla top 50 c’è Mattia Bellucci, che continua a crescere nel silenzio. Subito dopo, ecco Luca Nardi, talento classe 2003 già ammirato anche contro i big del circuito. Ci sono Passaro, Gigante, Arnaboldi, e sullo sfondo, una piccola suggestione: Federico Cinà, nato nel 2007, già nei primi 300. Ha 17 anni, ma inizia a farsi largo. Con i piedi per terra, certo, ma con lo sguardo dritto davanti.